Audizione Ufficio di Presidenza (commissione 1a – Affari Costituzionali, Senato della Repubblica) – sui disegni di legge nn. 1104 e 1575 (contrasto all’antisemitismo)
23 settembre 2025 ore 13
Simone Oggionni, membro del Comitato Scientifico del Laboratorio Y. Rabin
Ringrazio la commissione per l’invito a questa audizione e desidero in apertura sottolineare quanto sia sinceramente apprezzabile la volontà, evidente in entrambi i disegni di legge, di contrastare la recrudescenza di un fenomeno, quello dell’antisemitismo, che ho sempre considerato paradigmatico del razzismo, nella sua forma più cristallina. Purtroppo, noi italiani abbiamo una triste consuetudine storica con l’antisemitismo. Lo conosciamo molto bene ma non lo abbiamo mai estirpato. Dunque ogni occasione che ci consente di provare a capire come affrontare questo virus, sia sul piano culturale sia sul piano giuridico, è preziosa e necessaria.
Nel merito, mi limito a tre osservazioni fondamentali.
1. Sulla definizione IHRA
Entrambi i disegni di legge propongono di adottare come atto normativo — in linea con le risoluzioni del Parlamento europeo e con la decisione del Consiglio dei Ministri del 17 gennaio 2020 — la cosiddetta working definition dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) del 2016, comprensiva di quelli che vengono definiti gli “indicatori”.
La mia opinione è che la core definition non sia particolarmente controversa: è breve, chiara, efficace e non molto distante da altre definizioni. In linea di massima più una definizione è semplice e circoscritta, meno rischia fraintendimenti e più risulta solida.
Le difficoltà emergono — come ha sostenuto efficacemente per esempio Amos Goldberg, professore presso il Dipartimento di Storia ebraica e dell’ebraismo contemporaneo presso l’Università Ebraica di Gerusalemme — sugli indicatori, cioè sugli undici esempi di comportamento che, secondo l’IHRA, possono costituire antisemitismo.
Su questi esempi si è aperto un dibattito internazionale molto ampio e non concluso. In particolare sono due i punti di debolezza che io intravedo:
- il primo riguarda il fatto che la stessa definizione di IHRA ricorda che si tratta di linee guida, non di norme giuridiche vincolanti. Gli stessi esempi di comportamenti antisemiti sono considerati come esempi e dunque rimane un ampio margine interpretativo (in una certa misura inevitabile, perché esiste anche un antisemitismo dei toni e dei modi, difficilissimo da definire ma che emerge non nelle parole ma nell’enfasi e nell’aggressività, con modalità di espressione che tradiscono la pulsione) che sul piano giuridico determina il rischio di applicazioni diseguali;
- vi è un focus oggettivamente preminente su Israele: sette esempi su undici riguardano Israele, circoscrivendo l’attenzione dall’ampio e articolato fenomeno storico-sociale dell’antisemitismo — che ha contenuto nella storia e contiene tuttora molte forme teoriche e concettuali di odio e discriminazione contro gli ebrei, molte matrici diverse — a un terreno più limitato di controversia politica.
Come è noto, anche per queste ragioni sono sorte negli ultimi anni definizioni alternative, come la Jerusalem Declaration on Antisemitism (2021) e il Nexus Document, a loro volta discutibili e criticabili, ma che hanno colto l’esigenza di distinguere più chiaramente l’antisemitismo dalla critica politica. Sono anche io convinto che:
- non sia antisemita criticare il governo di Israele, le sue politiche o i suoi leader, anche con forza e durezza, come può avvenire con qualsiasi altro governo;
- non sia antisemita sostenere soluzioni politiche diverse per il conflitto israelo-palestinese (uno Stato federale, uno Stato binazionale, una confederazione di Stati);
- ma sia antisemita usare stereotipi antiebraici (cospirazioni, controllo occulto, doppia lealtà) per criticare Israele, le comunità ebraiche o gli ebrei in quanto tali;
- e sia antisemita negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione o non riconoscere la legittimità morale e storica dello Stato d’Israele.
2. Antisemitismo e antisionismo
Queste riflessioni mi portano a toccare precisamente il punto, molto delicato, del rapporto tra antisionismo e antisemitismo. Il disegno di legge presentato dalla Lega contiene un passaggio che li equipara nella sostanza.
Mi permetto invece di ricordare che:
- la stessa definizione IHRA è più cauta su questo punto: non introduce un’automatica equivalenza;
- nella storia sono esistiti ed esistono antisionismi non antisemiti. Penso al bundismo, movimento socialista ebraico contrario al sionismo in nome dell’emancipazione nei Paesi di residenza; ad alcune correnti religiose ortodosse, come Neturei Karta, che respingono il sionismo per motivi teologici; ma anche a ciò che hanno sostenuto negli ultimi anni intellettuali che propongono modelli alternativi di convivenza in Israele/Palestina (che io — rimanendo fedele al principio dei 2 Stati per 2 popoli — politicamente non condivido ma che mi paiono legittimi: dalle riflessioni di Tony Judt sullo stato bi-nazionale a quelle di Ophir Adi e Amit B. Ron su modelli possibili di “post-sionismo”);
- sono esistiti nella storia ed esistono nell’attualità del resto sionismi molto diversi tra loro. Sono esistite correnti più esplicitamente legate alla tradizione ebraica, di carattere anche religioso. Come correnti caratterizzate dall’adesione agli ideali del movimento socialista e altre caratterizzate da un nazionalismo esclusivista. È un dato di fatto che dopo l’uccisione di Rabin nel 1995, il fallimento degli accordi di Oslo e la presa del potere di Hamas a Gaza si sono imposti gli eredi politici del sionismo revisionista, una corrente esplicitamente di destra e fondata sul progetto della Grande Israele e che, giunta al governo, questa destra si è alleata all’oltranzismo e al suprematismo etnico-religioso. Oggi esistono posizioni che si definiscono grossolanamente antisioniste ma in quanto contrarie a questo tipo di sionismo;
- ma è altrettanto vero che diverse forme di antisionismo — a partire da quelle di chi pretende di cancellare Israele dalla carta geografica, costruendo uno Stato palestinese dal fiume al mare —assumono carattere antisemita: negare come dicevo agli ebrei il diritto all’autodeterminazione, considerare illegittimo lo Stato d’Israele in quanto tale e auspicarne la cancellazione è con ogni evidenza antisemitismo.
A mio giudizio è cioè importante distinguere, senza forzare un’equiparazione e una sovrapposizione concettuale e giuridica che rischierebbe di produrre più problemi che soluzioni.
3. L’equilibrio tra diritti
Il terzo tema che vorrei toccare riguarda il bilanciamento tra diritti. È un tema più da giuristi, e io non lo sono, che da storici. Ma da cittadino mi preme dire che la lotta all’antisemitismo deve essere rafforzata senza compromettere la libertà di espressione e di manifestazione tutelata dall’articolo 21 della Costituzione.
Occorre trovare un equilibrio tra due esigenze fondamentali: da un lato, tutelare l’ordine pubblico e reprimere l’odio antisemita — che, come forma di razzismo, è espressamente ripudiato dal nostro ordinamento costituzionale — dall’altro, non comprimere altri diritti costituzionali fondamentali, compreso quello di criticare liberamente le politiche dell’attuale governo israeliano. Questa tensione va risolta cercando un giusto mezzo tra valori e principi, anche costituzionali, ugualmente importanti.
Allo stesso modo mi permetto di dire che anche la libertà di ricerca storica — anche se, voglio chiarirlo, non è menzionata nei due disegni di legge — va salvaguardata. La ricerca storica vive di domande nuove, documenti inediti, prospettive diverse. Ogni generazione di storici rilegge il passato alla luce delle proprie domande e delle fonti disponibili. In questo senso la ricerca può giungere a conclusioni o a letture interpretative scomode, fastidiose (per esempio il tema dell’apertheid e la categoria interpretativa del colonialismo da insediamento) ma legittime.
Dirò una cosa che è scontata per ogni storico ma forse nel dibattito politico può essere equivocata: non c’è storiografia senza revisionismo storico, senza il continuo rimettere in discussione le ipotesi consolidate facendosi guidare dalle domande di ricerca e dai documenti disponibili.
E una cosa è il revisionismo e una cosa completamente diversa è il negazionismo, che non si fonda sulla ricerca d’archivio ma sul pregiudizio, sulla menzogna e sulla propaganda e dunque va giustamente circoscritto e censurato.
E laddove una legge confondesse revisionismo legittimo e negazionismo si correrebbe il rischio di limitare la libertà di ricerca scientifica; scoraggiare analisi critiche necessarie per capire fenomeni complessi; ridurre la storiografia a mera celebrazione politica, anziché a ricerca critica.
Conclusione
In conclusione, dunque, direi che la definizione IHRA è uno strumento importante e utile come riferimento operativo e di sensibilizzazione. Ma non è per sua stessa ammissione una norma giuridica vincolante. Se recepita in legge senza cautele, rischia di produrre effetti distorsivi: applicazioni arbitrarie, conflitti interpretativi, compressioni della libertà di espressione e confusione tra antisemitismo e critica politica.
Per questo credo sia fondamentale:
- rafforzare la lotta contro l’odio antiebraico senza indebolire le libertà costituzionali, comprese quelle indicate all’articolo 17;
- distinguere più accuratamente antisemitismo da antisionismo, precisando i comportamenti rilevanti, non solo per evitare contenziosi giudiziari ma anche e soprattutto per garantire maggiore equilibrio, rigore concettuale e chiarezza.
A questo link c’è il video dell’audizione: https://webtv.senato.it/webtv/commissioni/contrasto-allantisemitismo

Leave a Reply